L’omertà non è assolutamente quel mutismo assoluto che noi
tutti immaginiamo motivato dalla paura ma piuttosto un ostacolo quasi
fisiologico alla comunicazione, un atteggiamento ritroso dovuto alla abitudine
radicata ad un ambiente criminale in cui la regola stabilisce che la persona di
reputazione criminale peggiore imponga i propri interessi e tutti gli altri
devono farsi da parte. Taluno davvero queste regole non può contrastare per
timore ma molti altri le accettano con sentimento di obbedienza. Difficile o
impossibile stabilire dove finisca l’obbedienza e incomincia la paura. Il
silenzio e la fuga o il silenzio di pietra oppure ancora la sintetica risposta
sfuggente che fanno muro al curioso e all’uomo di stato sono dovuti ad una
profonda sensazione di vergogna e frustrazione scaturiti dalla complicità
criminale e dalla sottomissione alla gerarchia criminale anche quando si tenta
di vivere una vita onesta dove l’onestà è criminalizzata come al meridione. Il
soggetto interrogato su un dato avvenimento deve avere un interesse personale
sull’accaduto giustificato dalla comunità criminale per suscitare
coinvolgimento; questo interesse personale deve essere dimostrabile per
suscitare una partecipazione al dialogo; questo interesse personale deve
consistere nella percezione dell’utilità a condividere le informazioni delle
quali il soggetto è a conoscenza con la società civile perché questo dialogo
sia uno scambio proficuo. Premesso il dovere di un utile personale questo
dialogo diventa per forza infruttuoso per la comunità. L’individuo con una radicata mentalità criminale non ha mai
l’interesse nello scambio proficuo di informazioni con la società civile perché
ad ogni grado, dall’interesse civico all’interesse giudiziario, lo scambio di
informazioni determina l’ammissione di alcune proprie responsabilità nei
confronti della società civile e in ogni caso l’individuo è abituato a
rispettare una gerarchia diversa dal consueto ordinamento democratico che gli
impone di limitare lo scambio di informazioni con una realtà considerata
nemica. La gerarchia criminale che ormai prevarica le consuete limitazioni
territoriali ha creato nel corso del tempo una intera cultura deviata che
impone un utilità personale nella condivisione delle informazioni. Questa
cultura diffusa si manifesta come una profonda ignoranza che suscita anche
compassione e viene giustificata come effetto del male profondo radicato in
meridione in Italia piuttosto che come sua causa. Essa è determinata dalla
necessità di un tornaconto spicciolo immediato a giustificare un interesse
personale in qualsiasi argomento: sapere e sapere comunicare non serve se non
nella misura nella quale è giustificato da una emozione fisica di soddisfazione
o piacere, anzi saper comunicare potrebbe essere interpretato come sintomo di
ribellione alla società criminale che vive dell’istante immediato come la
depravazione morale profonda impone. I criminali che sfruttano i risultati
culturalmente condivisi dell’associazione per delinquere sfruttano l’immagine
che creano a danno degli uomini virtuosi per derubarne i privilegi ed abusarne
a danno altrui.
Quando ben sorvegliato arriva lo stato in una campagna
calabrese si trova di fronte per prime le persone anziane che, al riparo della
senilità e della lunga esperienza in quel dominio di vizio e complicità che è
la ‘ndrangheta, con linguaggio scarno ed occhio sorridente lo deride per
raggirare il nuovo avventore e per tranquillizzare i giovani succubi addestrati
ad evitare lo scontro ed approfittarsi il più possibile del buon cuore altrui
fino ad inaridirlo quanto il loro. Ad uno sguardo attento e smaliziato quello
che sembra un ameno paesaggio bucolico appare un incubo. Quando la ‘ndrangheta
ha a che fare con lo stato deve sapere identificare la persona che lo
rappresenta per famiglia e non per incarico, di seguito si interessa di quale
apporto concreto può essere per il suo clan. Le responsabilità contestate
all’interrogato saranno sempre colpe altrui, preferibilmente di un concorrente
sul territorio o all’occorrenza di un sottoposto in una rigida gerarchia, i
meriti di qualcuno del clan di appartenenza o degli amici se da soli non
riescono a parassitare tutta la fama. Di fronte allo stato assistenzialista i
membri della ‘ndrangheta si dimostrano sempre ad elemosinare senza alcuna vergogna
di impietosire scambiando questo atteggiamento per eroismo con l’intento di
sabotare sia questo che si tratti di famiglie riconosciute criminali sia che si
tratti di famiglie considerate ancora innocue, delle quali ancora non si
conosce la natura criminale, le peggiori. Il contrassegno distintivo per la
‘ndrangheta ad ogni livello è la viltà: insegnata a costo di dure lezioni
fisiche e considerata segno di intelligenza quando si deve indovinare una
reazione altrui. Il silenzio si trasforma immediatamente in un grande
chiacchiericcio quando le informazioni sono richieste da un capo famiglia o da
un clan più potente. In questi casi le informazioni diventano più precise e le
colpe verranno manifestate come meriti.
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