giovedì 24 settembre 2015

L'OMERTA'

L’omertà non è assolutamente quel mutismo assoluto che noi tutti immaginiamo motivato dalla paura ma piuttosto un ostacolo quasi fisiologico alla comunicazione, un atteggiamento ritroso dovuto alla abitudine radicata ad un ambiente criminale in cui la regola stabilisce che la persona di reputazione criminale peggiore imponga i propri interessi e tutti gli altri devono farsi da parte. Taluno davvero queste regole non può contrastare per timore ma molti altri le accettano con sentimento di obbedienza. Difficile o impossibile stabilire dove finisca l’obbedienza e incomincia la paura. Il silenzio e la fuga o il silenzio di pietra oppure ancora la sintetica risposta sfuggente che fanno muro al curioso e all’uomo di stato sono dovuti ad una profonda sensazione di vergogna e frustrazione scaturiti dalla complicità criminale e dalla sottomissione alla gerarchia criminale anche quando si tenta di vivere una vita onesta dove l’onestà è criminalizzata come al meridione. Il soggetto interrogato su un dato avvenimento deve avere un interesse personale sull’accaduto giustificato dalla comunità criminale per suscitare coinvolgimento; questo interesse personale deve essere dimostrabile per suscitare una partecipazione al dialogo; questo interesse personale deve consistere nella percezione dell’utilità a condividere le informazioni delle quali il soggetto è a conoscenza con la società civile perché questo dialogo sia uno scambio proficuo. Premesso il dovere di un utile personale questo dialogo diventa per forza infruttuoso per la comunità. L’individuo con una radicata mentalità criminale non ha mai l’interesse nello scambio proficuo di informazioni con la società civile perché ad ogni grado, dall’interesse civico all’interesse giudiziario, lo scambio di informazioni determina l’ammissione di alcune proprie responsabilità nei confronti della società civile e in ogni caso l’individuo è abituato a rispettare una gerarchia diversa dal consueto ordinamento democratico che gli impone di limitare lo scambio di informazioni con una realtà considerata nemica. La gerarchia criminale che ormai prevarica le consuete limitazioni territoriali ha creato nel corso del tempo una intera cultura deviata che impone un utilità personale nella condivisione delle informazioni. Questa cultura diffusa si manifesta come una profonda ignoranza che suscita anche compassione e viene giustificata come effetto del male profondo radicato in meridione in Italia piuttosto che come sua causa. Essa è determinata dalla necessità di un tornaconto spicciolo immediato a giustificare un interesse personale in qualsiasi argomento: sapere e sapere comunicare non serve se non nella misura nella quale è giustificato da una emozione fisica di soddisfazione o piacere, anzi saper comunicare potrebbe essere interpretato come sintomo di ribellione alla società criminale che vive dell’istante immediato come la depravazione morale profonda impone. I criminali che sfruttano i risultati culturalmente condivisi dell’associazione per delinquere sfruttano l’immagine che creano a danno degli uomini virtuosi per derubarne i privilegi ed abusarne a danno altrui.
Quando ben sorvegliato arriva lo stato in una campagna calabrese si trova di fronte per prime le persone anziane che, al riparo della senilità e della lunga esperienza in quel dominio di vizio e complicità che è la ‘ndrangheta, con linguaggio scarno ed occhio sorridente lo deride per raggirare il nuovo avventore e per tranquillizzare i giovani succubi addestrati ad evitare lo scontro ed approfittarsi il più possibile del buon cuore altrui fino ad inaridirlo quanto il loro. Ad uno sguardo attento e smaliziato quello che sembra un ameno paesaggio bucolico appare un incubo. Quando la ‘ndrangheta ha a che fare con lo stato deve sapere identificare la persona che lo rappresenta per famiglia e non per incarico, di seguito si interessa di quale apporto concreto può essere per il suo clan. Le responsabilità contestate all’interrogato saranno sempre colpe altrui, preferibilmente di un concorrente sul territorio o all’occorrenza di un sottoposto in una rigida gerarchia, i meriti di qualcuno del clan di appartenenza o degli amici se da soli non riescono a parassitare tutta la fama. Di fronte allo stato assistenzialista i membri della ‘ndrangheta si dimostrano sempre ad elemosinare senza alcuna vergogna di impietosire scambiando questo atteggiamento per eroismo con l’intento di sabotare sia questo che si tratti di famiglie riconosciute criminali sia che si tratti di famiglie considerate ancora innocue, delle quali ancora non si conosce la natura criminale, le peggiori. Il contrassegno distintivo per la ‘ndrangheta ad ogni livello è la viltà: insegnata a costo di dure lezioni fisiche e considerata segno di intelligenza quando si deve indovinare una reazione altrui. Il silenzio si trasforma immediatamente in un grande chiacchiericcio quando le informazioni sono richieste da un capo famiglia o da un clan più potente. In questi casi le informazioni diventano più precise e le colpe verranno manifestate come meriti. 

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